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IL DIALETTO ROMAGNOLO – UNA LINGUA VIVA

Il dialetto romagnolo, questa antica “lingua contemporanea” di origine neolatina, non è da considerarsi semplicemente un elemento folcloristico, bensì una componente chiave della cultura locale e, in un certo senso, parte integrante del panorama.

Se in Romagna il dialetto è ancora di uso corrente anche tra le generazioni più giovani, la Bassa Romagna si può a ben ragione considerare il principale “vivaio” di questo idioma. Non a caso Friedrich Shürr, eminente glottologo austriaco che nella prima metà del ‘900 analizzò scientificamente la struttura, la grammatica e la fonetica delle parlate romagnole, fu insignito della cittadinanza onoraria, proprio dal vicino Comune di Ravenna.

Di seguito, un breve glossario con i termini più ricorrenti, utili per avvicinarsi alla cultura del benvivere radicata in queste terre:

amarcord: mi ricordo
l’azdòra: la massaia addetta al governo della casa (la reggitrice)
e’ bè: il vino
un cvadrèt: un quarto della piada tagliata in croce
la cúga: la cuoca
invurnid: lento di riflessi, tonto, mentalmente ottuso, un po’ addormentato
la pìda: la piada romagnola, il pane azzimo non lievitato e cotto sulla teglia (detta anche la pjida o la piè)
i pasadèin: i passatelli
e’ parsòt: il prosciutto
e’ s-ciadùr: il matterello
la sfoja: la sfoglia, falda di pasta tagliata come si vuole, a fettuccine, pappardelle, cappelletti, tortellini
la tègia: il testo sottile e rotondo modellato da un impasto di argilla, utilizzato per cuocere la piada, adesso sostituita da una piastra di ferro
e’ zoc: ceppo; legno di grosso taglio usato per il fuoco o il camino
la zambéla: la ciambella

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