Seleziona una pagina

La configurazione territoriale, la rete fluviale e i percorsi idrografici della Bassa Romagna

La configurazione territoriale, la rete fluviale e i percorsi idrografici della Bassa Romagna

Il territorio della Bassa Romagna è storicamente chiamato Romagna estense che, nei secoli XV e XVI, sotto il Ducato di Ferrara, aveva Lugo per capoluogo. La conformazione territoriale di quest’area è sempre stata caratterizzata dalla presenza di insediamenti demici e antropici in zone dominate dalle acque di acquitrini o da correnti di canali e di fiumi, che erano sia fonte di vita e di sussistenza sia una minaccia. Per questo motivo il paesaggio è da sempre stato modellato da una rete idrografica instabile.

La centuriazione romana

Mappa del corso Senio e Santerno
realizzata nel 1765 da Luigi Manzieri.

I Romani iniziarono a colonizzare il territorio a partire dalla costruzione della via Emilia (187 a.C.) e, spinti dalla necessità di organizzare l’antropizzazione del territorio, disboscarono terreni e regimarono le acque nella zona compresa tra la via Emilia e l’attuale via San Vitale, in parte l’antico percorso della via Salaria. Grazie a un particolare tipo di misurazione e divisione del terreno (detta limitatio), i Romani ripartirono il territorio in centurie, divise secondo le coordinate dei cardi e dei decumani. Gli appezzamenti (quadrati con lati di 710 m.) erano delimitati da fossi di scolo che, incrociandosi, creavano il reticolo drenante regolare, in alcune zone è tuttora visibile, che portò ad una bonifica idraulica. La via Emilia, fungendo da decumano massimo, servì come base per l’orientamento di nuove partizioni in centurie: da Rimini la strada consolare congiungeva la parte estrema della Romagna con Piacenza, dove vi era il guado sul Po.
Uno studio condotto negli anni Sessanta da Lelio Veggi e Arnaldo Roncuzzi ha dimostrato come rimangano tracce evidenti della centuriazione romana negli agri centuriati di Lugo e di Bagnacavallo e come il degrado di alcune zone sia dovuto all’innalzarsi della falda freatica che ha determinato la formazione di aree paludose, nonché alla sovrapposizione di materiale alluvionale derivante dai frequenti disalveamenti di corsi d’acqua nel Medioevo.

L’idrografia

I fiumi hanno, da sempre, “disegnato” la pianura romagnola: l’uomo infatti ne ha utilizzato le acque per bonificare i terreni, ne ha alzato la quota di giacitura per offrire ampi spazi all’agricoltura e per ottenere campi ben curati e inquadrati in un fitto reticolo di fossi e scoline.
Nella parte occidentale della Romagna scorrono il Lamone, l’Idice, il Sillaro, il Santerno e il Senio che, nati sull’Appennino, scendono da valli parallele e si spingono attraverso la pianura divagando verso il mare. Nell’antichità fluivano nell’ampio seno lagunare che separava il litorale da un entroterra pedemontano sul quale si sviluppava una foresta planiziale.

Il Santerno-Senio, il Vatrenus di Plinio, per un lungo periodo fu affluente del Primaro (ramo meridionale del Po) dividendo la grande valle in Libba a Ponente e Bartina a Levante e ha caratterizzato il territorio con i suoi transiti instabili. Nel Basso Medioevo, a seguito di un’opera di risanamento e di regimazioni idrauliche, i fiumi furono deviati più a Occidente. In particolare, proprio per quanto riguarda il Senio-Santerno: il Santerno fu inalveato in un tracciato più occidentale verso la località denominata Bastia,  e il Senio da Cotignola fu condotto, attraverso San Potito e Fusignano, al Po di Primaro; mentre nei pressi di Boncellino, nell’alveo abbandonato del Senio-Santerno fu immesso il Lamone.

Bassa Romagna del Ducato di Ferrara
Mappa redatta da Luigi Manzieri nel 1750, Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara
(tratta da libro “Le bonifiche in Romagna” di Tito Menzani).

Dalla via Emilia, direttrice principale Est-Ovest, facili collegamenti stradali mettevano capo ai porti fluviali e vallivi da cui transitavano uomini e merci grazie a una navigazione di piccolo cabotaggio. Le imbarcazioni risalivano il fiume con la pratica dell’alaggio: venivano guidate e trainate, mediante funi, da animali da tiro posti sulle rive, secondo una pratica antica già in uso al tempo dei Romani quando realizzavano la via helciaria, cioè la via che costeggiava i fiumi agevolando appunto l’alaggio, con traino sia umano sia animale.

Sul Senio e sul Santerno, che sfociando nel Po di Primaro costituivano un’idrovia che metteva in comunicazione l’entroterra padano con il mare, si aprivano il porto di Conselice, Caput Silicis, presso Santa Maria in Fabriago; il porto Pedretolo, a Nord di San Lorenzo di Lugo; il porto di Catena, presso la Pieve di Santo Stefano in Catena; poi quello di Maiano, in prossimità dell’attuale località di Maiano Monti; inoltre, quelli della Fenaria e di Libba vicino a Fusignano; e quello di Bagnacavallo. Tale sistema di porti alimentava il flusso di traffico tra le aree ferraresi e venete e le zone pedemontane di Romagna e Toscana, come riporta con dettagli topografici Riccobaldo Ferrarese nel Chronicon parvum.

Piccoli scali, funzionali alle attività di mercato e a quelle delle fiere medievali, che le comunità cittadine, a integrazione delle vie d’acqua naturali, valorizzarono con l’apertura di canali atti al funzionamento dei mulini sui quali rivendicavano il possesso dei diritti pubblici e dei proventi fiscali. Risalgono, infatti, al XII-XIII secolo le numerose bastie e torri di guardia, costruite nei punti strategici dei tratti navigabili dei corsi d’acqua per salvaguardare le idrovie e per agevolare la riscossione di dazi e gabelle. Il Canale dei mulini di Castel Bolognese, Lugo e Fusignano e quello di Imola e Massa, che persistono nel paesaggio contemporaneo, sono vive testimonianze storiche così come alcune “vie serpentine” che un tempo affiancavano corsi d’acqua ora scomparsi. Anche il Collettore Zaniolo, in gran parte arginato, che raccoglie le acque di scolo della pianura imolese, con il cavo Gambellara, assolse la funzione di idrovia.

Interventi significativi furono poi attuati sotto il dominio degli Estensi (secoli XV e XVI), che aprirono una via di comunicazione diretta fra Lugo e Ferrara tagliando il Santerno presso San Lorenzo per condurlo, con un nuovo inalveamento di 12 km, nel Po di Primaro; gli Este realizzarono inoltre la strada che collegava la Bastia dello Zaniolo alla Bastia di Ca’ di Lugo, posta a difesa di un passo sul Santerno, che appunto nel Cinquecento assunse il nome di via della Bastia.
Molti approdi rimasero attivi fin verso la metà del XV secolo quando invece prevalse l’opera di bonifica di terreni acquidosi. Il territorio, dai primi del Cinquecento fino a tutto il Settecento, assunse un aspetto sempre più agricolo a causa del prosciugamento di ampie zone vallive e della bonifica per colmata durante le piene fluviali, tanto da ridurre la consistenza e la funzionalità del sistema idroviario compromettendo tra l’altro la navigazione inter valles fra Bologna, Conselice e Ravenna.

Inoltre, il vecchio Po di Primaro venne progressivamente soffocato dalle torbide dei fiumi appenninici, ma la pratica del trasporto sulle idrovie interne legate al Po o al Reno, già Primaro, tardò a spegnersi del tutto. Ancora nel 1809, tra i documenti d’archivio, due notifiche del Podestà di Faenza per il transito e lo scarico del grano fanno esplicito riferimento al “Canale Naviglio Zanelli e al Magazzeno del Naviglio posto alla Darsena di Bagnacavallo”. Da pochi decenni, per volontà del conte Zanelli, era stato realizzato l’omonimo Naviglio per collegare Faenza al mare: il canale, prendendo l’acqua dal fiume Lamone a monte della città manfreda, si immetteva nel Reno, per poi raggiungere l’Adriatico. Sul Naviglio furono costruiti mulini e ponti girevoli e sulle sponde piantati pioppi per ricavarne legname. Le merci erano caricate su chiatte e con la pratica dell’alaggio erano trascinate, dalle sponde, da coppie di cavalli, mentre la località Darsena era luogo di sosta per il carico delle barche che trasportavano cereali, farine, legname, erbe palustri e vino. Con l’introduzione della ferrovia, nel 1860, progressivamente il canale non fu più utilizzato per la navigazione e il trasporto, ma solo per alimentare i mulini.

Territorio compreso tra  il Po di Primaro e Ravenna
Archivio Storico Modena, mappario Estense, Vol. 6 pag. 131 sec XVII

Interessante è anche una scrittura privata del 1821, sottoscritta da un commerciante di Lugo, che siglava un contratto di vendita di 500 sacchi di frumento, merce il cui percorso era legato alle condizioni di navigabilità delle acque del fiume Santerno: per lo scarico di una prima quantità di sacchi era obbligo tassativo “dargli posto alla Bastiglia o alla Chiavica di Legno”; si legge inoltre che gli altri sacchi che transitavano sul Canale di Fusignano andavano scaricati “dirimpetto al mulino Calcagnini”. Il percorso delle merci che si desume da questo documento trova conferma nelle numerose mappe conservate negli archivi di Ravenna e Ferrara che, nel territorio compreso tra il Santerno e il Senio, mostrano la confluenza del Santerno in Primaro, il Canale dei molini con la strada del Porto e l’intero suo percorso prima di entrare nella valle, attraversarla e uscire come Canal Vela fino alla confluenza nel Reno presso il Passetto.
A Taglio Corelli, quando il Canal Vela divenne il collettore dell’omonima “Congregazione delle acque” – del territorio fra Santerno e Senio -, il Canale dei molini fu immesso nell’alveo morto del fiume Santerno per defluire poi nel Po di Primaro tramite la chiavica Napoleonica detta “I chiaviconi della Canalina” che, per mezzo dei portoni vinciani, lo difendeva dalle piene del fiume.

La bonifica

Sono questi esempi di un ricco patrimonio di fonti legato alla storia di luoghi in cui la rete dei corsi d’acqua ha determinato scelte antropiche e lasciato segni indelebili sul territorio. Come il disegno regolare della bonifica che, con terreni risanati e canali di scolo in tanti centri della Bassa Romagna, si affianca alla viabilità del territorio che ricalca le vecchie vie alzaie, utilizzate per la pratica dell’alaggio.
Ai limiti delle terre alte e ben drenate, i frequenti straripamenti dei corsi d’acqua che causavano inondazioni e, progressivamente lasciavano depositi alluvionali, hanno determinato una differente fertilità dei terreni, quindi un’evidente diversità per potenzialità e vocazione agricola dei suoli. Infatti, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il paesaggio agrario andò differenziandosi notevolmente: accanto a quello appoderato delle vecchie terre, condotte a mezzadria, si affermò il paesaggio delle larghe con coltivazioni arative nelle terre sottratte all’acqua, dove temporaneamente si era diffusa la pratica della risaia.

Planimetria di parte del territorio ravennate con fascia del ferrarese dalla valle di Conselice a San Biagio al mare, tra Ravenna e la riva sinistra del Reno e il Po di Primaro. Archivio di Stato di Venezia, Savi ed esecutori alle acque, serie Po, dis. 177.

A completare l’opera di risanamento del territorio, dal 1903, si diede avvio alla realizzazione del Canale in destra Reno, anche per dare lavoro ai braccianti romagnoli (scariolanti), localmente conosciuto come “Scolo delle acque chiare”. Il Canale, che scorre arginato, ha origine dalla Botte Selice del Collettore Zaniolo e raccoglie le acque dei territori dei Consorzi idraulici Zaniolo, Buonacquisto, Canal Vela e Fosso Vecchio compresi fra i fiumi Sillaro, Santerno, Senio e Lamone, per portarle al mare, dopo un percorso di 37 km, ricalcando nell’ultimo tratto il vecchio percorso del Lamone. Il Canale di Bonifica (Canale in destra Reno) segue un percorso parallelo in destra idraulica del fiume Reno ad una quota più bassa per raccogliere le acque di bassa giacitura dei comparti da fiume a fiume. I predetti corsi d’acqua, infatti, sono pensili rispetto ai territori che attraversano e scaricano nel Reno – Po di Primaro. Durante la fase esecutiva del Canale furono costruite botti a sifone in muratura, all’intersezione con i fiumi, a tre luci per il Santerno, a cinque per il Senio e per i canali dei molini.

Oggi, in questo nostro territorio, dove il difficile rapporto con l’acqua sembra superato, i Consorzi di Bonifica con la loro attività continuano a mantenere i risultati acquisiti e garantiscono una corretta gestione delle acque.

La toponomastica

Senio e Santerno, con i loro corsi attivi e spenti, il Naviglio e i Canali dei Mulini suggeriscono percorsi privilegiati sotto il profilo storico, economico e naturalistico ambientale. Così, il tracciato che si snoda da Lugo su strade e argini ci invita a un’attenta lettura della toponomastica e ci conduce lontano raccontandoci la storia dei luoghi e dei paesaggi, attraverso una sorta di memoria del territorio.
Innanzitutto, la via Padusa ricorda la grande laguna alla foce dell’antico ramo meridionale del Po, Padus, che separava il mare dall’ampio specchio d’acqua retrostante. Un sistema vallivo di transizione fra terraferma e mare, colmato, insieme al Po, dai fiumi appenninici che vi confluivano.

Ma sono molti altri gli idronimi che riportano alla presenza dominante dell’acqua: quando nel percorso compare via Canaletta, il riferimento è al passaggio di un canale d’acqua di dimensioni limitate, mentre Canalazzo e Fiumazzo, nella forma peggiorativa del termine, riconducono a tracciati spenti e a corsi d’acqua che hanno perso la loro funzionalità. I toponimi Coronella e Roncadello invece raccontano di fatiche legate alla terra: il primo, riporta a un argine circondario innalzato per delimitare terre paludose e contrastare alluvioni e straripamenti, il secondo, etimologicamente derivato da runcus, equivale alla bonifica di zone incolte e boscose con operazioni di sarchiatura; da ultimo, Manzone designa la terra a riposo dalla coltivazione o il bosco dissodato, lasciato al libero pascolo dei manzi.

Lugo

Situato nella parte Nord occidentale della fertile pianura fra i fiumi Santerno e Senio, è attraversato da una rete di canali, naturali e artificiali (fra cui il Canale dei Molini di Castel Bolognese) frutto dell’opera di bonifica che ha modellato queste terre. Difficile individuare l’origine di Lugo, oggetto nel tempo di dibattute controversie, ma certamente per la sua posizione geografica la città, già dall’epoca romana e alto medievale, poteva sfruttare la centralità dei cardini della maglia centuriale, la presenza di pievi quali importanti presidi territoriali e il vasto bacino idrografico.
Il toponimo Lugo potrebbe trovare conferma nella derivazione dal latino lūcus, bosco religioso o sacro, o dal celtico lug o luc con significato di villaggio, ipotizzando antichissimi insediamenti, soprattutto alla luce di alcuni rinvenimenti del 1982 nelle cave della fornace cittadina. In ogni caso, la colonizzazione romana del territorio di Lugo, posto sul ventesimo decumano nel cuore della maglia centuriale, va messa in relazione al tracciato della Via Emilia e alla ruralizzazione delle zone alte e asciutte ai bordi dei territori paludosi, che venivano assegnate ai coloni.

La centralità di Lugo è rimarcata anche dalla topografia urbana, impostata su un asse centuriale attorno al quale si è sviluppata la città medievale. Il cardo che attraversava l’abitato, ricalcato dall’odierna strada provinciale Quarantola Felisio, collegava il porto e la pieve di San Giovanni in Libba. La città, in posizione favorevole rispetto alla via Emilia in direzione Est-Ovest e Nord-Sud, traeva vantaggio dal traffico del sale proveniente da Ravenna e Cervia verso Bologna, e costituiva anche un punto di raccordo fra il bacino idrografico padano e i territori transappenninici. Elemento di sviluppo fu inoltre la vicinanza a piccoli porti vallivi che si aprivano ai confini con le terre salde, che favorirono il trasporto via terra e la nascita di mercati locali. Oltre alla centralità rispetto ai traffici di derrate alimentari, Lugo si avvantaggtò dalla presenza in loco di enti religiosi ravennati che incrementarono la produzione agricola, complementare a un’economia basata sulle risorse silvo-pastorali, della caccia e della pesca. Fattori questi che consolidarono le attività di scambio e di compravendita portando alla nascita di un mercato agricolo regolato da scadenze costanti, che la presenza di una solida comunità ebraica contribuì a sviluppare e consolidare.

Risalendo i secoli verso l’origine del centro, Lugo non compare nell’Alto Medioevo come centro propulsore – a differenza dei centri plebani circostanti di Bagnacavallo, San Giovanni in Libba a Fusignano, o Santo Stefano in Catena -, ma a partire dal XII secolo, in riferimento ad alcune divisioni fondiarie della Massa di Sant’Ilaro, la cui prima attestazione (risalente al 1081) trae origine dal primo insediamento che si evolve da villa, priva di difesa, a borgo e a presidio fortificato, castrum.
L’importanza di Lugo e la sua dignità di castrum con un proprio territorio sono attestate dalla Descriptio Romandiole, il censimento della Romagna redatto nel 1371 dal cardinale Anglico Grimoard. Quando i signori di Ferrara, verso la fine del Trecento, riuscirono a infiltrarsi nel cuore della Romagna con la forza del denaro, dalla Romandiola si passò alla Romagna estense, che perdurò fino a tutto il Cinquecento.
Già nel 1376 Niccolò II risulta Signore di Lugo, ma il definitivo passaggio alla dominazione ferrarese avvenne con Niccolò III nel 1437 quando Lugo, come capitale della Romagna estense, prese a ricoprire un ruolo primario accorpando i territori circostanti, tra cui quello di Zagonara dopo la distruzione del villaggio e del castello da parte dei Milanesi che lì si erano scontrati coi Fiorentini.

La stagione degli Estensi portò a una ripresa delle opere di risanamento del territorio, nel tentativo di frenare le mire espansionistiche di Venezia e salvaguardare gli scambi tra Ferrara e Lugo. Con il duca Borso, nel 1460 si realizzò il raddrizzamento e l’inalveamento in Primaro del Santerno, la deviazione del Senio e la messa a coltura dei terreni tra i due fiumi. La ruralizzazione del territorio portò a un rapido aumento demografico e alla nascita dei villaggi di San Bernardino in Selva e di San Lorenzo, che aprirono la strada a una ulteriore ondata demografica portando alla creazione di altri nuclei abitati a Belricetto, Giovecca, Frascata, Lavezzola.

Anche dopo la fine del dominio estense, nel 1598, con il ritorno del Governo pontificio, si ripropose per il territorio lughese nell’età delle Legazioni, il controllo delle acque, urgente e necessario a causa del ripetersi, nel corso del Seicento e del Settecento, di eventi di rotta e alluvioni. Studi e progetti per la sistemazione del Reno, del Senio e del Santerno, che con le loro frequenti inondazioni avevano contribuito alla formazione delle valli di San Bernardino e del Passetto, furono proposti alla Sacra Congregazione delle Acque che sovrintendeva i lavori.

Questioni di acque non disgiunte da quelle del Canale dei mulini, di Castel Bolognese, Lugo, Fusignano, la cui costruzione risale al XIV secolo, e che derivava le sue acque dal Senio per fornire adeguata potenza idraulica alle macine dei mulini cittadini per la frantumazione dei cereali. Funzione che assolse fino all’avvento dell’energia elettrica, alimentando nel corso dei secoli numerosi impianti e divenendo spesso causa di liti e controversie. Il Canale, esaurito il suo compito a servizio dell’attività molitoria, ora ha una funzione irrigua di concerto con il CER, Canale Emiliano Romagnolo. Attraversa la pianura dalla chiusa di Tebano sul Senio e, dopo un percorso di circa 40 km, si immette nel Canale in destra Reno a Taglio Corelli. È un elemento della rete idraulica soggetta al Consorzio di Bonifica della Romagna Occidentale (che ha accorpato anche tutti territori a monte della via Emilia sino al crinale appenninico) e rappresenta un naturale collegamento fra l’ambiente collinare del Parco della Vena del Gesso e la pianura umida del Parco del Delta del Po.

Massa Lombarda

La bonifica delle zone paludose, fra Ottocento e Novecento, fu determinante per lo sviluppo agricolo del territorio di Massa Lombarda che privilegiò l’impianto di frutteti, nonché la costruzione di magazzini ortofrutticoli, tanto da essere conosciuta come “paese della frutta” e avere ospitato nel 1927 la II Esposizione Nazionale di Frutticoltura.
Il nome richiama la sua origine: la massa Sancti Pauli, un agglomerato agricolo ai margini della selva di Lugo ovvero un insieme di fondi rustici con una chiesa dedicata a San Paolo. Assunse il nome di Massa Lombarda quando accolse nel 1251 numerose famiglie provenienti dai territori di Brescia e di Mantova, che sfuggivano alle vessazioni di Ezzelino da Romano. Ai nuovi coloni vennero assegnate terre, suddivise in quadrati regolari, in cambio del loro impegno a bonificarle e a destinarle alla coltivazione.

A riportarci a una realtà segnata dallo scorrere delle acque a Massa Lombarda, in via Imola è la suggestiva cornice del vecchio lavatoio, alimentato dall’acqua del Canale dei molini di Imola e Massa, oggi luogo di incontro per performance teatrali, narrazioni, musica, poesia e danza. Il Canale, lungo un tracciato di circa 40 km, attinge acqua dal fiume Santerno e, dopo aver circondato Imola, tocca le località di Bubano, San Patrizio, Conselice, Lavezzola, e corre lungo la via Selice, fino a confluire nel fiume Reno nei pressi del ponte detto “della Bastia”. Attualmente esso porta acqua solo fino a Massa Lombarda, dove un ramo alimenta appunto il lavatoio pubblico, mentre un altro ramo si stacca dal corso principale prima dell’abitato e ritorna nel Santerno. La sua costruzione risale all’Alto Medioevo a opera dei Benedettini del monastero di Santa Maria in Regola che lo realizzarono, oltre che per bonificare i terreni depressi, per la navigazione, per alimentare numerosi mulini e per irrigare i campi.

San Patrizio

San Patrizio, frazione del comune di Conselice, posta sulla via Selice è un antico territorio, la cui pieve battesimale è documentata dal 1092, attorno al quale già si era costituito il villaggio di San Giovanni in Pentecaso. Forse si trattava un insediamento di origine lombarda, a cui seguì quello della Massa dei Lombardi, come riporta Claudia Pancino in un saggio sulla situazione di Conselice dall’XI al XIX secolo. San Giovanni in Pentecaso, in virtù della posizione tra terre boschive e valli, fu spesso causa di lite fra i comuni di Conselice e Massa Lombarda.

Nell’insediamento di San Patrizio, luogo più alto, meno soggetto al pericolo delle acque e alle inondazioni, trovarono rifugio anche gli abitanti di Conselice durante uno dei frequenti allagamenti del loro territorio. Ed è associandosi proprio a Conselice che, nella prima metà del Quattrocento, San Patrizio rinunciò all’autonomia amministrativa.
San Patrizio vanta la permanenza di un mulino costruito verso la fine del XV secolo, sopra il Canale dei Molini di Imola, l’antico corso d’acqua pensile che dall’antica Forum Cornelii si univa alle acque del Po di Primaro. Il mulino, costituito da un corpo di fabbrica originario, su pianta rettangolare che sovrasta l’alveo del canale con due arcate, pur conservando i vecchi macchinari, ha subito evidenti interventi di ristrutturazione ed ampliamenti negli ultimi anni Cinquanta.

Conselice

Il territorio di Conselice, situato al centro di una fitta rete idrografica, è caratterizzato da un millenario rapporto con l’acqua dei fiumi e delle ampie distese vallive. Compreso fra il fiume Sillaro a Ovest, il Reno a Nord e il Santerno a Est, è attraversato dal Canale Zaniolo, un ampio collettore che proviene da Mordano, dopo aver scolato i territori imolesi con il cavo Gambellara parallelo a esso fino a Conselice, dove riuniti entrano nel Canale Destra Reno in corrispondenza della Botte Selice, per poi proseguire sino al Reno. A segnare il territorio c’è pure il Canale dei molini di Imola, un tempo funzionale al trasporto delle merci e al funzionamento dei numerosi mulini.
Le prime forme di insediamento della zona compresa tra i corsi del Sillaro e del Santerno sfruttavano gli spazi più alti e asciutti creati dai depositi alluvionali, ma al tempo della Roma repubblicana, intorno al II secolo a.C., il territorio fu sottoposto a un’opera di bonifica e di regolazione delle acque con la pratica della centuriazione. L’antica suddivisione agraria romana, che divideva il territorio in tanti quadrati adatti alla ripartizione della proprietà da assegnare ai coloni ancora visibile nel paesaggio, era funzionale anche allo scorrere delle acque e, prendendo come decumano massimo la via Emilia, la Selice fungeva da cardo massimo.

Per avvalorare l’ipotesi della nascita di Conselice, si ricorre a un primo documento datato 5 giugno 1084, che cita il Portum Capitis Silicis; a confermarne lo sviluppo come centro abitato è una fonte successiva, del 1151, dove il paese compare come castrum et curtem con paludi e piscarie. La pergamena del 1084 riporta le trattative intercorse tra la sede vescovile e la città di Imola relativamente ai diritti di imposte sulle merci in transito per via di terra e alla riscossione dei dazi relativi allo scalo portuale. Conselice fungeva quindi da porto di Imola mediante un canale, chiamato poi dei mulini, che costeggiava la via Selice e si inoltrava nelle valli, valles iuxta Padum, per raggiungere il Po di Primaro, l’idrovia che metteva in comunicazione con Ravenna, Ferrara e risaliva fino a Piacenza.

Si tratta di un territorio con aspetti paesaggistici diversificati e documentati: nel 1435 si ha testimonianza della presenza di prati, boschi, selve, paludi, acquitrini, valli e piscarie dove si può pascolare, cacciare, “pescare et ucelare secondo l’usato”, quindi ambienti differenti ma in ogni caso produttivi e fonti di sussistenza e di lavoro. Tra la fine Settecento e i primi dell’Ottocento erano censiti valli, risaie e piccoli campi coltivati. Il bosco selvaggio e i vasti spazi incolti, popolati di animali, volpi, lupi e cinghiali, progressivamente avevano spinto la comunità a convertire l’incolto in terreno agricolo con interventi di bonifica. Inoltre, negli stessi anni, nei terreni acquidosi e improduttivi cominciò a diffondersi la risicoltura anche con l’obiettivo, attraverso l’allestimento della risaia, di colmare le bassure da destinare alla coltivazione asciutta dei cereali. Ed è proprio negli specchi d’acqua delle risaie che a Conselice si diffuse l’allevamento dei ranocchi, tanto da guadagnare al paese l’appellativo di “terra dei ranocchi”.

Segni toponomastici, iconografici e, da ultimi, alcuni monumenti raccontano la pluriennale storia di un paesaggio sempre incerto tra acqua e terra. La via Cantalupo Selice, in prossimità di Conselice, ricorda le vaste distese boschive frequentate da animali selvatici come il lupo; lo stemma comunale in cui, in campo azzurro, compaiono la tinca e il luccio, riporta alla pesca nelle distese vallive; un curioso monumento al ranocchio si mostra al centro della rotonda di ingresso al paese; la scultura dedicata alle mondine e agli scariolanti, nel parco pubblico, rende merito a un esercito di braccianti, simbolo del lavoro e del riscatto sociale, che hanno duramente lavorato a innalzare argini e costruire canali e alla fatica delle mondariso impegnate negli specchi acquidosi delle risaie. L’opera è stata inaugurata il 3 maggio 1990 in occasione del centenario delle lotte e rivendicazioni delle mondine che sfociarono nel celebre eccidio del 1890. All’indomani di quel tragico avvenimento, si costituì a Conselice una cooperativa fra i braccianti di Conselice, Lavezzola e San Patrizio che, nel corso del tempo, si è progressivamente radicata nel territorio e ha segnato il profondo riscatto economico e sociale della popolazione. Nel 1919, sotto la spinta di Nullo Baldini, si decise l’acquisto, da parte della Federazione delle Cooperative di Ravenna, della tenuta Massari di proprietà della famiglia Massari Zavaglia di Ferrara che aveva sfruttato la coltivazione a risaia di quelle terre basse e acquidose. Importanti opere di risanamento di quei terreni paludosi, messe in atto dai nuovi cooperatori, crearono condizioni di drenaggio e di fertilità fondamentali per avviare nuove colture asciutte.

La Cooperativa Agricola Braccianti Massari oggi, nata dalla fusione nel 1997 con altre CAB, è una vasta azienda agrituristica che ha saputo coniugare le attività agricole con il turismo e la ristorazione, mantenendo come testimonianze del passato l’opificio del tabacco e del riso. Il ripristino di un’area valliva, ora destinata al tempo libero e ottimo rifugio per l’avifauna stanziale di passo, rimanda a un ambiente caratterizzato per secoli dalla convivenza di terra e acqua che ha caratterizzato per secoli un paesaggio di acqua e terra.

Lavezzola

Il villaggio di Lavezzola è nato nel XV secolo come feudo concesso dagli Este a Giacomo della nobile famiglia dei Lavezzoli, che diede il nome al paese e lasciò tracce durature. Il territorio in concessione, compreso fra il Po di Primaro e la Frascata, era funzionale a garantire i confini settentrionali della Romandiola in fregio alla destra idrografica del Primaro, presidiati dalla Bastia dello Zaniolo.
Lavezzola viveva in simbiosi con le acque del Primaro che scorreva a Nord e con il paesaggio vallivo che, dalla sponda destra del fiume, si incuneava verso Sud, dove fluivano le acque del Senio e del Santerno che, con un’alternanza stagionale, facevano riaffiorare terre emerse e colmavano di detriti gli specchi acquitrinosi.

Il “torbidissimo” Santerno, con le sue divagazioni di percorso, fu utilizzato per la bonifica dei terreni. Il fossato Zaniolo, ampio e di notevole portata, era funzionale alla navigazione e alla molitura. Secondo l’idrologo Aleotti, nel 1565 lungo il suo percorso macinavano ben venti mulini e, curiosamente, la sua denominazione sembra trarre origine dalla proprietà di un certo mugnaio Martino, come risulta da un atto notarile del Trecento che cita il fossatum Martini Zanioli. Altra fonte che ne attesta la navigabilità è la presenza di una catena sullo Zaniolo, ovvero di uno sbarramento, “un posto di blocco” alla Bastia per la riscossione dei dazi e per contrastare traffici illeciti. Per secoli, fu dominante il Primaro, una sorta di arteria stradale con i suoi percorsi via acqua e sugli alti argini, sopraelevati, asciutti e facilmente percorribili a ridosso delle bassure paludose circostanti.

I primi abitanti, dediti alla pesca e alla caccia, godevano come uso civico del diritto di frasca nel bosco, donde il toponimo Frascata. Per le prime pratiche agricole, esercitate su poche terre, sfruttavano le gronde fluviali poi le zone che progressivamente venivano, con fatica, strappate alle acque e, con il disboscamento, alle selve.
Come altri paesi della Bassa Romagna, Lavezzola, ora frazione del comune di Conselice, dedita prevalentemente all’agricoltura, attraversò varie fasi nel processo di antropizzazione: da territorio paludoso a villa con modesti insediamenti abitativi che via via si svilupparono e assunsero la forma di un piccolo impianto urbano.

Per la comunità, i Lavezzoli, i Bentivoglio e i Legati pontifici, che nel tempo hanno governato il territorio, i problemi emergenti erano sempre legati all’acqua, ai numerosi eventi di rotta che, con ritmi annuali, inondavano la campagna, allagavano i coltivi e impedivano l’attività molitoria. Drizzagni, regimazioni, deviazioni, inalveamenti perdurarono quindi per secoli con controversie e tentativi di risolvere la questione delle acque, fino all’immissione definitiva del Reno nel Po di Primaro, dopo lavori di scavo e arginature con foce autonoma a mare alla fine del XVIII secolo.

Vallesanta

Le valli di Campotto (FE), ora zone umide protette, sono nate dalle esondazioni del Primaro, quando il fiume nel Basso Medioevo, scorrendo pensile, non riceveva le acque di piena dei torbidi torrenti appenninici. Residuo delle antiche distese paludose, divise in tre comparti comunicanti, fungono da cassa di espansione per le acque di piena che successivamente, tramite la forza delle idrovore, vengono immesse in Reno. Il comparto di Vallesanta, compreso tra l’Idice e il Sillaro, è caratterizzato dalla vegetazione igrofila emersa e, in una piccola area a Sud, da un prato umido, luogo eletto per l’avifauna. Oggi questi ambienti ci catturano emotivamente per il fascino indiscusso che si esalta con le nebbie autunnali o con gli accesi colori alla luce del tramonto.

Santa Maria in Fabriago

Antica località del comune di Lugo, è posta sulla sinistra del fiume Santerno e, come la vicina località di Campanile, era compresa nella pieve di Santa Maria in Centumlicinia-Centum Lisinia che solo nel 1091 assunse la denominazione di Santa Maria in Fabriago.

La prossimità del porticciolo vallivo di Petredolo, che mettendo in comunicazione il territorio con il Primaro costituiva un vitale punto di scambio, è tuttora testimoniata dalla via Predola, che corre nella campagna di Fabriago, toponimo riconducibile all’antico porto Petredolo o Predolo. Centumlicinio-Centum Lisinia potrebbe derivare da centum, ovvero le parti in cui veniva suddivisa la centuria o dal termine Licinia-Centum lacinium, lacerto di centuriazione, un territorio indiviso e non assegnato ai coloni e, come incolto, soggetto all’uso del pascolo e del legnatico. Circondato dalle acque, attorno all’VIII secolo il territorio di Fabriago era un fundus costituito da famiglie prevalentemente dedite alla pesca e alla caccia. Attorno alla metà del Duecento, dopo le inondazioni che avevano reso insalubre il territorio, la comunità di Fabriago accettò di essere acquisita da Lugo che allargò i suoi possedimenti incorporando anche San Bernardino.

Il toponimo Santa Maria in Fabriago è una denominazione abbastanza recente che localizza il territorio un tempo chiamato Bruciata o Brusata dal fondo di un certo Brusatus de Fabriaco (1188). Dopo l’inalveamento del Santerno del 1460, in riferimento al fiume che l’attraversava, il territorio assunse l’appellativo di Brusata di qua e Brusata di là e, in prossimità dell’argine sinistro, a una quota più alta rispetto ai terreni circostanti, fu costruito un presidio fortificato attorno al quale si costituì un borgo abitato.
Del plebato di Santa Maria in Centumlicina poi Fabriago rimane la chiesa di Campanile presso Lugo con l’alta torre campanaria circolare che può accomunarsi per lo stile architettonico ai campanili ravennati, databili fra il X e l’XI secolo.

Una storia, quella di Fabriago, emblematica del rapporto fra terra e acque ostili all’insediamento, ma essenziali al sostentamento dell’economia e funzionali ai traffici e agli scambi commerciali. Dopo il Mille, Fabriago, divenne un fiorente castrum, ma gia verso la fine del XII secolo subì le conseguenze di una nuova crisi idrogeologica che decretò il ritorno dell’incolto e delle valli, quindi l’allontanamento degli abitanti che andarono a popolare le terre vicine più floride e accoglienti, lasciando un territorio desolato, frequente alle inondazioni, con una chiesa senza titolari e in rovina di cui resta, come punto di riferimento, quel campanile che dà il toponimo all’omonimo centro abitato.

La località Torre, prossima a Santa Maria in Fabriago, deriva il suo toponimo da un antico terreno boscoso che apparteneva a Lugo, circondato dalle acque di piena del Santerno sul quale sorgeva una torre di cui si è persa ogni traccia. A confermare l’esistenza del manufatto, sorto come posto di vedetta sul territorio circostante, resta la citazione di un’osteria detta “Hostaria della Torre” che fu distrutta dall’acqua nel 1403. Seguendo le vicende storiche e i conseguenti passaggi di proprietà, se ne ritrova traccia prima nel 1598 poi quando fu definitivamente chiusa per l’ennesima furia delle acque dopo l’alluvione del 1764.

San Bernardino

San Bernardino è una piccola località residenziale e agricola nella campagna lughese posta sulla riva destra del Santerno in corrispondenza delle anse del fiume.

San Lorenzo

Le prime notizie di questa frazione del comune di Lugo, sulle sponde del Santerno, risalgono al XV secolo, quando con il nuovo corso del fiume e della strada che correva parallela in direzione di Ferrara, sorsero nuovi insediamenti che costituirono il villaggio e l’omonima parrocchia di San Lorenzo in Selva e, più a Nord su un dosso fluviale, con lo stesso comune appellativo di San Bernardino in Selva.
La via Fiumazzo, già via del Fiunazzo, vecchio alveo del Santerno in capo a San Lorenzo che passa per le località di Torre e Belricetto fino a Passogatto, racconta nella sua etimologia le trasformazioni legate al percorso del fiume e agli interventi dell’uomo.

Ca’ di Lugo

Quando nel Quattrocento, fra gli interventi di risanamento del territorio realizzati dagli Estensi, il letto del Santerno fu arginato e condotto nel Po di Primaro, sorsero lungo le sue rive nuovi centri abitati, tra cui Ca’ di Lugo, nel punto di intersezione tra la nuova strada voluta dagli Este e il Santerno.

 

Vuoi esplorare queste terre? L’itinerario “Terra e acqua” è perfetto! Clicca qui per maggiori informazioni

 

(Aggiornato al 19/12/2020)

logo bassa romagna mia

Sito ufficiale di informazione turistica dell'Unione dei Comuni della Bassa Romagna

Piazza della Libertà, 13
48012 Bagnacavallo (RA)
Tel. +39 0545 280898
turismo@unione.labassaromagna.it

P.IVA e Cod. Fiscale 02291370399
P.E.C. pg.unione.labassaromagna.it@legalmail.it